Claudio Domestico, Napoli.

Domestico. Il dizionario dice che domestico è qualcosa di familiare, che riconosciamo come “casa”, qualcosa o qualcuno di intimo, alla mano, che ispira confidenza.

Coincidenze? Non lo sappiamo. Quello che sappiamo, però, è che Claudio Domestico è la persona che dal 2003 porta in giro Gnut, un progetto artistico che, attraverso musiche intime, da quindici anni viaggia dentro e fuori ai confini nazionali, dentro e fuori ai cuori, dentro e fuori alle persone. Domestico. Sappiamo anche che è stato il nome di uno dei suoi ultimi lavori, un EP registrato interamente tra le mura di casa. Domestico. E infine sappiamo anche un’altra cosa, che la sera del 25 luglio Gnut porterà sul palcoscenico dell’Ex Macello il suo ultimo lavoro: Hear My Voice.

Hear My Voice è poesia e musica, sono i versi in napoletano scritti da Alessio Sollo, musicati da Claudio e regalati a noi. Protagoniste di Hear My Voice sono quattro canzoni d’amore nelle quali non campare mai il verbo ‘amare’. In tutto questo la musica di Claudio è il magico collante fatto di folk, di blues, di ritmi africani, di musica nera: un gusto agrodolce e speziato che riesce comunque a ricordarci casa.

Intervista di Gloria Perosin


Claudio, ma Gnut, alla fine, chi è?

Gnut è un progetto musicale nel quale ho fatto confluire negli anni il mio lato più introverso e sensibile. Diciamo che potrebbe essere il mio lato buono.

Sei partito con DiVento, hai proseguito con Il Rumore Della Luce, sei passato per Prenditi Quello Che Meriti e hai partorito Domestico, tutti lavori diversi tra loro. Oggi ci regali Hear My Voice, quattro brani che spiegarli è quasi impossibile. Come ci sei arrivato e come lo definiresti?

Ogni lavoro che ho fatto è la sintesi di periodi molto ampi della mia vita. Ogni disco è la somma di esperienze accumulate in precedenza. Sono arrivato a quest’ultimo lavoro semplicemente vivendo la mia vita e raccontandola attraverso la mia musica.

Con Hear My Voice esci dall’Italia, che effetto ti fa varcare i confini nazionali con la tua lingua? Come pensi venga percepito questo lavoro da chi non ha la fortuna di avere radici partenopee?

Non credo di essere pienamente consapevole di come venga percepito questo lavoro da chi non è napoletano. Non so com’è non esserlo.Quando suono dal vivo mi rendo conto che la canzoni hanno un fascino diverso a seconda della città in cui mi trovo ed è una cosa stimolante perché evidentemente hanno diverse chiavi di lettura che non sono strettamente legate ai testi.

Napoli, come tutti i luoghi che ci crescono, ha di certo un peso nei tuoi lavori. Pensi che se non fossi nato in questa magica città saresti diventato comunque Gnut? Avresti seguito comunque questo percorso?

Credo che avrei suonato altre cose. Le radici sono importanti per ogni forma d’arte.

E i tuoi lavori da dove nascono? Da dove prendi ispirazione?

Mi ispirano le piccole cose, i piccoli gesti o le grandissime distanze.

Hear My Voice sono sono quattro canzoni d’amore in una lingua in cui non esiste il verbo ‘amare’. Non è possibile in napotelano dire “ti amo” perché sarebbe tradotto in ‘te voglio ben’ “. Leggo questo in una tua intervista e ti confesso che da non napoletana ti invidio molto, è una lingua che mi ipnotizza. Come vivi tu questa lingua poetica e come sei riuscito ad usarla per parlare d’amore?

Il napoletano è una lingua meravigliosa. Ma il linguaggio è uno strumento che va utilizzato bene. Amo le poesie in napoletano che scrive il mio amico Alessio Sollo e per me è un grande onore cantare i suoi testi.

Il tuo raccontare attraverso parole e musica sa di esigenza, è così? Come hai incontrato la musica e quali sono stati i tuoi primissimi passi in questo mondo?

Ho iniziando a quattordici anni con la chitarra di mio fratello. Mi ha insegnato lui a fare i primi accordi e ricordo di aver scritto subito una canzone. E’ stato come aver imparato a leggere o ascrivere per la prima volta. Avevo trovato un liguaggio per esprimermi e non ho smesso più.

Il 25 luglio porterai le tue note sul palco de Le Città Visibili, che emozioni vorresti far provare a chi sarà lì ad ascoltarti?

Di solito non ho delle aspettative sul pubblico che mi segue. Cerco semplicemente di emozionarmi tanto e mi auguro che qualcosa arrivi a chi mi ascolta.

C’è qualche consiglio che ti senti di dare a chi ha la tua stessa esigenza e sta inziando adesso a muovere i primi passi?

Di non confondere la voglia di fare musica e di esprimersi con quella di avere successo.