Questo articolo è prodotto dai partecipanti al “Laboratorio di giornalismo culturale e narrazione transmediale“, organizzato da Altre Velocità per il festival Le Città Visibili 2024.
«Esisterà più la possibilità di morire?» si chiede un’attrice nel suo nugolo di congetture sul futuro di un mondo sempre più devastato dal collasso climatico, dove già oggi c’è la possibilità di fabbricare organi di ricambio con stampante 3D. È con queste considerazioni che si apre Futuro Anteriore, spettacolo di Giulio Costa andato in scena il 3 settembre all’Ex Cinema Astoria di Rimini, in occasione del festival Le Città Visibili. Quattro giovani attori si approcciano al tema dell’invecchiamento recitando e improvvisando su un testo di Margherita Mauro.
Il tema della vecchiaia, narrata come età oscura, l’ultima della vita, è quasi un tabù nell’odierna società della performance. Il numero degli anziani in Italia cresce sempre di più, quello della natalità diminuisce e l’aspettativa di vita, con il progresso tecnologico e medico, sarà sempre più lunga. L’attacco dello spettacolo è un monologo pieno di domande sull’imprevedibile evoluzione dei propri bisogni, sul progresso della società, delle mode, della tecnologia. L’attrice che lo recita, scherza sul fatto che già è faticoso immaginare il futuro prossimo quando ai colloqui di lavoro ci chiedono come ci vediamo fra cinque anni, figuriamoci riflettere su un avvenire così lontano come l’anzianità, prima del quale verranno tante decisioni, imprevisti, storie. Fare il punto su come si vive la vecchiaia attualmente è quindi la base di partenza della discussione. Così, per tutto lo spettacolo, i quattro attori assumono a tratti i ruoli e i punti di vista di figli, di genitori, di operatori di case di cura e di anziani restituendoci un quadro completo di come viene gestita l’anzianità in Italia oggi.
Gli attori, tutti under 35, interpretano verosimilmente gli anziani nel modulare la loro voce in un verso stridulo e parlando in dialetto quando – come è solito fare tra anziani – si incaponiscono sulle loro fissazioni. In scena una signora racconta ai propri figli di essere stata a trovare un’amica e insiste per farsi prendere sul serio da quei figli che continuano a non prenderla sul serio, fino a che non si sentono costretti a confessarle che quella donna di cui parla è morta qualche anno prima. Gelo. Sulla pelle dello spettatore si inerpica la desolazione della simpatica signora che scopre di essere stata ingannata dalla propria memoria. Antonio e Matilde, figli adolescenti oppositivi e scansafatiche di Gloria, tutto d’un tratto, diventano adulti responsabili e discutono su quale sia la migliore soluzione per il benessere della madre, che, ogni giorno che passa, peggiora. Sarebbe meglio lasciare la signora nella sua casa fra gli oggetti e gli affetti cari e contare sull’assistenza domiciliare, o sarebbe forse più indicato inserirla in una casa di riposo con assistenza medica full time? Scelta difficile.
Scarna, ingobbita e avvizzita, la figura di una anziana in carrozzina si chiude su se stessa mentre mugola sommessamente. Chissà se protesta contro le sue gambe che l’hanno tradita o se si oppone flebilmente a chi l’ha strappata dal letto e messa sulla carrozzina per forzarla alla veglia. Chissà cosa prova chi sta invecchiando e chissà che non provi altro oltre alla paura e allo sconforto che ipotizziamo, noi, spaventati dalla fine. In Futuro Anteriore il ritratto della vecchiaia è perlopiù ammantato dal sentimento della perdita di forza ed energia. Non mancano i momenti di ironia come quando, ad esempio, le signore ridono delle proprie rughe, ma lo spettacolo rimette a noi la responsabilità di interpretare la vecchiaia in un modo meno canonico. Verso la fine dello spettacolo, nella penombra, una signora anziana esile e ingobbita esce di scena seguita dagli altri attori che, a differenza sua, hanno una posizione eretta. L’immagine ricorda la linea del tempo dei libri di storia per cui, via via, l’essere umano acquisisce la posizione eretta divenendo sapiens. Tuttavia, ponendo avanti l’anziana signora, la linea pare piuttosto invertita. E se, invece, pensassimo alla vecchiaia come a una evoluzione?
Uscendo dal teatro si pensa al concentrarsi sul proprio benessere, al prendersi cura di sé per godersi la terza età, scongiurando un improvviso declino. Ma è inesorabile che la vecchiaia sia un tempo con una tinta meno fulgida rispetto alla gioventù e dovremo appellarci alla nostra maturità per coglierne gli aspetti positivi e accettare le prove che questa ci offrirà. Sarà quel che sarà, però non basta. Dovremmo aprirci al non giudizio di quel futuro anteriore che ci spaventa. Dovremmo iniziare a concepire la terza età come un caleidoscopio di avventure e saggezza che la persona ha acquisito nella sua esistenza. Dovremmo fare in modo, come società e famiglie, che questa età venga valorizzata e non nascosta dietro lo stereotipo della debolezza.
Debora Meluzzi