A cura di Irma Ridolfini
“Quando si sceglie di raccontare e condividere qualcosa che si conosce profondamente, accade che quel qualcosa diventa universale, riconoscibile per tutti.”
Questo ha detto ieri sera Linda Gennari, direttrice artistica de Le città Visibili, nel presentare lo spettacolo Diario di provincia e il suo autore e interprete Oscar De Summa.
E così che “Erchie, Provincia di Brindisi, città medievale, Comune d’Europa”, paesino dell’estremo sud, si è specchiato negli sguardi, nelle tante risate e nei silenzi – uno su tutti quello sbigottito e incredulo di fronte al colpo di scena finale – del pubblico di Rimini, con cui sembrava dovesse avere in comune solo il profumo del mare…
Un narratore istrionico ed energico, capace di trascinare con sé il pubblico aggiungendo al racconto un tocco quasi cabarettistico: questo è stato ieri Oscar De Summa, e noi l’abbiamo seguito a ruota.
Abbiamo scoperto con lui la monotonia esilarante e assurda dei “giorni fotocopia” di un Sud da cui lui stesso, attore e personaggio, vuole fuggire. Abbiamo conosciuto i suoi grotteschi – ma non per questo meno reali – abitanti, che ripetono di giorno in giorno gli stessi gesti e le stesse parole, addirittura con le stesse intonazioni e gli stessi volumi.
Gente di paese, un paesaggio immutato all’interno del quale l’adolescente protagonista tenta di innescare ingenui segni di cambiamento, finendo per essere immediatamente deriso e castrato da compaesani e parenti per aver osato seguire la moda punk.
E punk e fuori dagli schemi è lo stile di vita che adotta con i suoi amici, quando rubare auto diventa un pretesto qualsiasi per fuggire dalla monotonia, un gioco che alla lunga rischia di diventare monotono anch’esso, se non venisse spezzato da qualcosa di più grande, più forte e più pericoloso: l’ombra della Sacra Corona Unita che inghiotte il finale.
Il Giardino di Palazzo lettimi si è rivelato uno straordinario teatro. Un ambiente talmente raccolto da non dare neanche l’impressione, mentre si osserva lo spettacolo, di trovarsi “all’aperto” ma che allo stesso tempo regala i profumi e i colori di un piccolo bosco.
Un luogo che si direbbe teatro per vocazione, se si pensa che la prima destinazione del sito fu appunto quella di teatro, come già abbiamo raccontato in questo blog.
Ma a fare un luogo sono anche le persone, è anche la cura e l’attenzione con cui uno spazio viene immaginato, ridisegnato e infine allestito.
Il festival Le Città Visibili non solo è stato capace di questa cura, ma ha fatto qualcosa di più: in questo processo di riscoperta ha coinvolto una piccola ma significativa comunità di persone.
Quella comunità è fatta non solo dei partecipanti al workshop di storytelling e social media che ieri Tamara Balducci ha ringraziato dal palco (e di cui chi scrive fa felicemente parte) ma ancor di più dai migranti del progetto Ci. Vi. Vo., dai Visionari, dal ReeDo Lab, dalle stesse direttrici artistiche, dai musicisti e teatranti che conoscerete in queste sere e soprattutto, quella comunità è il pubblico.
E quando, come ieri sera, in chi ascolta una storia scatta un riconoscimento che non è solo individuale, quando si ride e si pensa insieme, capita che non esista più solo una comunità… ma che accada proprio “il teatro”.