«Secondo voi è vero che siamo tutti nella stessa barca? A me non pare; ci sono barchette, barconi, piattaforme, barche a forma di salotto e navi da crociera, e ognuna ha una sua destinazione…» canta Massimo Modula in “Indiemood Session” mentre con una barchetta scivola tra i canali di Venezia.
Massimo Modula, che con Giacomo Depaoli aprirà il concerto di Roberta Giallo venerdì 26 luglio, nasce a Torino nel 1969 e dal 1979 vive a Rimini. Artista visivo, o visual artist come si dice oggi, e musicista, illustratore e fumettista, pittore e cantante, poeta. Massimo mescola tutto per portare in scena delle vere performance. Nel 2017, dalle sue arti, nasce il primo album da solista Ad occhi aperti.
Intervista a cura di Gloria Perosin
Massimo Modula, cantautore ma anche performer e illustratore, chi sei?
Risponderò come fanno i politici: dicendo altro.
Siamo sempre alla ricerca di una definizione e troviamo soltanto parole che sbiadiscono e si sovrappongono ad altre. Però se dico poeta, penso che il termine possa rappresentare qualcuno in cui mi riconosco. Secondo me in questa contemporaneità in cui tutto sembra accessibile a tutti in realtà siamo sempre più disperati nel tentativo di essere qualcosa o qualcuno. Dobbiamo sapere chi siamo e cosa vogliamo. Illusione. La sola cosa che abbiamo è questa opportunità. La vita. Io non mi sono mai sentito capace, però ho sempre sentito una spinta dalle gambe al petto ed ho scoperto di amare la sacra finzione della realtà che restituisce il mistero delle cose come un dono per tutti, un frutto che puoi ricevere e gustare, per poi conservarne un pezzo da coltivare e condividere. Se la chiamassi arte o mi definissi un artista rischierei di cercare un pubblico e creare aspettative. La cosa è asfissiante. Diciamo che preferisco non sapere chi sono professionalmente perché potrei rimanere irrimediabilmente deluso-recluso-escluso. Non posso permettermelo.
Com’è nata la tua arte e che cosa vorresti comunicare attraverso di lei?
Forse è nata dalla musica che faceva muovere il mio culetto a pannolone o dall’aria che tagliavo con le dita per disegnare fantasie.
Ballavo la sigla di un programma televisivo chiamato Pop Corn e le prime canzoni che ho imparato a 4 anni sono state “Io vagabondo” dei Nomadi e “Viaggio di un poeta” dei Dik Dik. In entrambe compare la figura del vagabondo. All’epoca sentivo dare del vagabondo ai perdigiorno e, pur non conoscendoli, provavo simpatia per questi individui, forse perchè mi sembravano più buoni anche se buoni a nulla, più forti anche se più deboli, più ricchi anche se più poveri. Più liberi anche se.
Forse è proprio questo che voglio comunicare? Altra illusione
Il 27 ottobre del 1981 Alberto Sinigaglia, in una puntata di Vent’anni al Duemila, intervistava Italo Calvino e gli chiedeva tre chiavi, tre talismani per il Duemila. Calvino rispondeva «imparare molte poesie a memoria per ripeterle anche da anziani e farsi compagnia, fare calcoli complicati a mano per rimanere concreti, ricorare che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all’altro».
Se lo chiedessi io a te, cosa risponderesti?
Tre chiavi.
Cancello + Portone + Porta = Sogno + Determinazione + Fiducia.
Quali sono stati tre brani-chiave, non tuoi, nella tua vita?
Sono ovviamente più di tre, quindi dirò i primi tre di questo istante suddividendoli per le stagioni della mia età.
Da bambino “La ballata di Michè” di Fabrizio De Andrè, da adolescente “Break on through to the other side” dei The Doors, a vent’anni “Il parco della luna” di Lucio Dalla.
Ho come la sensazione che venerdì 26 ci sarà da divertirsi.
Ci vediamo all’ex macello, sempre in via Dario Campana 71, sempre con Le Città Visibili.