Un varco luminoso emerge da un cupo groviglio di ombre, uno stormo di gabbiani accennato a spray circonda il capanno da pesca sulla palizzata di Rimini, lo sguardo sfuocato di una donna si perde su uno scarabocchio che pare un uccellaccio appollaiato e ora un paesaggio paradisiaco appare come un miraggio oltre un reticolo di filo spinato. 

C’è un affascinante filo conduttore che lega Le Città Visibili alle opere di Eron. L’artista riminese – al secolo Davide Salvadei – accompagna il festival fin dagli esordi, e ogni anno una delle sue creazioni fatte di vernice e bomboletta diventa l’immagine simbolo della rassegna, il primo tassello del programma che riporta alla luce per poche settimane il giardino segreto di Palazzo Lettimi. Il punto d’incontro è l’ambiente urbano, la rilettura di un luogo a partire da uno sguardo nuovo, non convenzionale.

di Federico Spadoni

Riservato, disponibile ma allergico a celebrazioni e riflettori. Chi conosce bene Eron lo descrive così, come del resto si conviene a un artista che per anni ha fatto della strada la sua tela principale, funambolo sul quel sottilissimo spago che congiunge vandalismo ed estetica.

La collaborazione con Le Città Visibili risale a uno spettacolo di qualche tempo fa. L’idea era: come ritornare in un luogo al quale appartieni ma che non ami in maniera incondizionata? Perché proprio Rimini dev’essere sinonimo di Notte Rosa, miss maglietta bagnata e tritacarne del divertimento rivierasco? La soluzione stava in un seme, dal quale ripartire e far nascere qualcosa di bello. Eron sembrava rappresentare proprio quel seme: la barchetta di un suo murales è diventata la locandina dello spettacolo che ha segnato il ritorno a casa di Tamara Balducci e Linda Gennari (si chiamava “Rimini Ailoviù”).

Ora la barchetta di carta è il logo dell’associazione Le Città Visibili.

È il quarto anno che il festival sceglie una sua immagine. L’ultima – quel paesaggio montuoso che si staglia all’orizzonte oltre il filo spinato in primo piano – appartiene ai lavori più recenti. Il segno quasi infantile della bomboletta che disegnava barche e gabbiani lascia qui il posto all’inquietante barriera di demarcazione che tanto ricorda i campi di prigionia. Sembra riflettere le terribili storie taciute tra gli alberi del giardino Lettimi, quelle vissute dai rifugiati del Ci.Vi.Vo. impegnati ora nell’allestimento dell’area, o delle donne migranti dell’associazione Vite in Transito, alle quali sono affidati gli aperitivi durante le serate del festival. Le loro sono voci che dialogano con il paesaggio onirico impresso sullo sfondo della tela di Eron, sfuocato e annebbiato ma al tempo stesso così reale.

È l’ennesimo punto d’incontro, che unisce arti visive, teatro e vita; qualcosa di bello, cercato, riconosciuto e fatto durare per re-innamorarsi di un luogo che non si ama più incondizionatamente. Per non soffrire – parafrasando Le Città invisibili di Italo Calvino – di quell’inferno dei viventi che abitiamo tutti i giorni.

Qui sotto il trailer di “Rimini Ailoviù” lo spettacolo di Tamara Balducci e Linda Gennari,

da cui tutto il percorso de Le Città Visibili è iniziato:

RIMINI AILOVIU` (TRAILER) from linda gennari on Vimeo.

 

Una una piccola galleria con le immagini prestate da Eron alle locandine realizzate per le quattro edizioni de Le Città Visibili

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