Intervista a Marco Cacciola: Autore del progetto e interprete di Farsi Silenzio. Attore e regista ma soprattutto attore.
di Luca Rossi
Lo spettacolo Farsi Silenzio si terrà lunedì 30 luglio e martedì 31 luglio in due repliche giornaliere, alle 18:30 e alle 21:30. Le repliche delle 18:30 si terranno all’ex colonia bolognese.
In questo periodo c’è una grande attenzione ai temi politici e sociali mi sembra che voi invece vi occupiate di temi più introspettivi. Riscontrate delle difficoltà dato il clima attuale?
Do una grande importanza politica al lavoro che faccio come regista e attore. E’ una parte fondamentale. Non faccio un teatro politico ma banalmente faccio politica perché faccio teatro. Vengo ora da uno spettacolo sul genocidio degli armeni (La masseria delle allodole) dove ho lavorato autorialmente perché fossero evidenti i riferimenti all’oggi.
E’ fondamentale, ed è politico, il fatto che con questo festival la comunità si riprenda alcuni spazi. Anch’io sono partito andando in giro in zone non teatrali. Sono andato da Torino a Roma ascoltando una metà di questo paese.
Credo sia un grande dovere del nostro paese e quindi del teatro reinventare la polis, la comunità.
Questo spettacolo ha un po’ lo scopo di ricreare il coro, che è la porta dalla quale si entra nella città. Ed è il pubblico che svolge questo ruolo.
In questo lavoro sono andato in giro in mezzo alle persone. In cerca del sacro ma laicamente. Domandando: “cos’è il sacro per voi?” Ed è stato il mio interlocutore a declinarlo come voleva.
Passiamo alla seconda domanda, anche perché ci sei già arrivato. Ho letto che il progetto nasce da un “pellegrinaggio artistico, alla ricerca del sacro in ogni dove”. Pensi che questo possa collegarsi in qualche modo con le religioni organizziate tradizionali oppure no?
Me lo sono questo chiesto. Il mio è stato davvero un pellegrinaggio, andavo in giro senza sapere dove avrei dormito o mangiato. E chiedevo alle persone del sacro. Questo risulta strano.
Camminare è già un grande rischio che l’uomo. Tecnicamente non possiamo fare un passo senza perdere l’equilibrio. Con un pelligrinaggio mi rendo straniero ma anche diverso. Molti mi hanno chiesto perché non avessi preso l’autobus. Ho la fortuna di potermi porre questa domande e penso a quante persone non hanno avuto la possibilità di porsele.
Le religioni, come tutto quello che ha un’impostazione dogmatica, mi fanno paura mentre i principi su cui si basano sono straordinari. Sarebbe sempre necessaria una persona che riporti alle origini. Il principio che c’è alla base è spesso quello che siamo tutti fratelli, una cosa che non era per niente scontata quando è stata detta, e non mi pare che questo venga applicato.
Nelle persone che fanno parte delle strutture religiose organizzate ho fatto fatica a trovare una sensibilità simile a quella del mio viaggio. Forse Tindaro Granata, l’autore del testo a partire dal mio materiale, che ha una sensibilità religiosa diversa non sarebbe d’accordo con me.
La figura del pellegrino non sembra essere niente di speciale per loro e mi sembra che abbiano sviluppato un’abitudine a questo e anche al racconto dei dubbi e dei percorsi spirituali delle persone. Antonio Tarantino (secondo me il più grande narratore italiano), che ho incontrato il primo giorno di questo percorso, mi ha consigliato di non cercare il sacro sulla Franchigena ma tra i miseri, gli ultimi e di dormire in stazione qualche volta. L’ho fatto a Roma l’ultima notte ed è stata un’esperienza piuttosto dura.
Hai già visto le due location dove si terrà lo spettacolo, l’ex colonia bolognese e l’ex macello? Sei approdato a questa forma di spettacolo da forme di teatro più tradizionali?
L’ex Macello lo vedo adesso per la prima volta. E’ uno spettacolo per un pubblico di non oltre 50 persone, il che non è il massimo economicamente. E’ strutturato così perché cerco di creare una piccola comunità di persone che si guardino in faccia. Diversamente sarebbe stato un po’ meno teatro e un po’ più spettacolo.
II teatro avviene o non avviene, a prescindere dal fatto che tu abbia delle strutture straordinarie o che tu non abbia niente. Si passa da realtà poverissime all’opera lirica. Gli attori nel teatro nel teatro greco classico venivano definiti i tecnici di Dioniso e devono fare in modo che avvenga.
Naturalmente ho fatto anche un teatro di regia, più classico. Ma sono distinzioni che mi interessano poco.
Sentivo adesso l’esigenza di uscire dalla totale preponderanza dell’immagine che vedo adesso nel teatro, ma in realtà in tutto il mondo contemporaneo. Volevo dare più spazio ad una immaginazione che partisse dall’ascolto. Sei tu a doverti immaginare che aspetto abbiano le cose che stai sentendo.