di Marco Ferri
La musica, come ogni forma d’Arte, ci permette di leggere dentro noi stessi, ci fa accedere a una dimensione nuova, diversa. Sperimentiamo il non visibile e vibriamo insieme a delle melodie che sembrano arrivare da un altro luogo
Invisibile, intangibile, ma capace di farci assaporare ogni emozione come una realtà indiscutibile, la musica ci riempie di immagini, ricordi e sogni… e il Festival quest’anno ha deciso di dedicare l’ultima serata a tutto ciò, a qualcosa di unico; un concerto, una performance, una ricerca interiore.
Alle 21:30 inizia “Solo Live”, uno spettacolo che ormai da dieci anni Roberto Angelini porta in giro per l’Italia e che rappresenta un progetto personale, intimo e fondamentale nella carriera di questo artista.
Abbiamo avuto il piacere di porgli qualche domanda, per indagare ancor di più la natura di tale ricerca e… tanto altro.
Pianoforte, musica elettronica, chitarra acustica, cori, basso… Solo Live è davvero un accurato progetto di ricerca e sincronizzazione. Come nasce questo lavoro e cosa ti ha spinto a creare qualcosa di così complesso e sperimentale?
Da come lo presenti te sembra molto più complesso e affascinante di quello che poi è (dice ridendo). In realtà è un’idea che nasce, come spesso accade, da un problema originario: nel 2009, quando finii di fare il disco “La vita concessa”, per un motivo o per un altro (come se facessi una bella stagione con una squadra piccola, arrivano le grandi e si prendono i giocatori migliori), mi sono ritrovato da solo, perché tutti i ragazzi con i quali avevo fatto il disco avevano degli impegni “più grossi” del mio. Quindi di fronte alla possibilità di andare a suonare canzoni “chitarra e voce” (è sempre una maniera secondo me difficile perché dopo 2/3 brani fatte in questa maniera finisce tutto lo spettro di suoni e dinamiche che si può dare a un concerto) mi sono trovato ad avere questa idea di circondarmi degli strumenti che ho anche nel mio studio e proporli tutti dal vivo.
Il cervello di tutto questo è un looper, un attrezzo che si può permettere di generare la base di una canzone e piano piano, utilizzando tutti gli strumenti che più o meno suono, qualcuno meglio qualcuno peggio (dice ancora ridendo), ho trovato il modo più vicino alla mia anima e al mio modo di sentire la musica, che infatti dall’epoca non ho più abbandonato. Sono quasi dieci anni che porto in giro questo tipo di spettacolo. Mi ci sono trovato comodo.
Il tutto è accompagnato da diversi video e grafiche di cui la tua musica diviene colonna sonora. Come li hai scelti e in che modo si legano con la tua performance?
La maggior parte dei video che accompagnano le canzoni sono dei video di animazione che tra il 2004 e il 2009, avendo collaborato con un’associazione di animatori e illustratori, ogni amico con il quale ho lavorato mi ha regalato. Hanno quindi interpretato ogni mia canzone con uno stile di animazione. Diciamo dunque che anche a livello visivo chiudo il cerchio delle mie passioni: oltre la musica, la mia grande passione è infatti la plastilina. Se avessi la possibilità di vivere giornate da 48 ore forse mi dedicherei anche a quello. Per un periodo l’ho anche fatto e uno di quei video ne è uno dei frutti. Gli altri invece, come detto, sono stati fatti da artisti diversi che mi hanno regalato le loro opere scegliendo una canzone alla quale sentivano di poter associare qualcosa. Poi nello spettacolo non tutti i brani sono accompagnati da un film di animazione, quindi a queste ho unito altre ambientazioni o performance visuali.
Da San Remo a Solo Live il tuo percorso professionale ha subito diversi cambiamenti ed evoluzioni. Quali sono stati i punti di svolta della tua carriera musicale?
Sicuramente un primo momento importante è stato la firma del contratto con la Virgin nel ’99 e San Remo nel 2001. Poi ci sono stati un disco che è diventato estremamente popolare nel 2003, che conteneva Gattomatto e un disco tributo che ho fatto Nick Drake, che mi ha riavvicinato a delle sonorità musicali e a un modo di fare musica che sentivo più vicino a me. Piano piano poi ho creato la mia etichetta e mi sono creato i presupposti per essere libero e poter fare quello che desideravo a livello musicale. Da lì in poi i punti focali sono la collaborazione con Diego Bianchi in arte “Zoro” e l’avventura in televisione da quattro anni con Gazebo-Propaganda, mentre una cosa che mi ha cambiato veramente la vita è stato quando in un negozio di chitarre mi hanno consigliato di comprarmi una chitarra “slide”. Così ho passato molto tempo con questo strumento che mi ha permesso, in questi dieci anni, di collaborare con davvero tantissime persone e fare, oltre che l’autore e il cantautore, ciò che mi piace da morire, ossia il musicista.
Hai collaborato con artisti del calibro di Nicolò Fabi, Max Gazzè, Jarabe de Palo, i Tiromancino e tanti altri… quali incontri sono stati fondamentali nel tuo percorso? C’è un artista al quale ti sei ispirato o ti ispiri?
Fondamentale per me è stato Nicolò Fabi, la collaborazione con lui è stata molto importante sia a livello musicale che umano.
Quando ero piccolo avevo dei miti, crescendo poi ho iniziato a pensare di poter imparare da qualunque musicista con cui mi capita di suonare, da uno su un palco immenso a uno per strada. La musica è un linguaggio che permette di rompere tutte le barriere di differenze di lingua, di età, di nazionalità e di provenienza di generi. Quindi alla fine penso di poter imparare continuamente ogni volta che suono con qualcuno. Da ragazzino avevo ovviamente dei idoli: mi piaceva da morire Ben Harper, che mi piace ancora ovviamente. Però poi penso sia importante uscir fuori dai propri miti per trovare dei linguaggi diversi, per cercare di essere originale, altrimenti se tenti di suonare o scrivere come quello o quell’altro, sarai sempre una copia di qualcosa.
L’Angelo Mai, realtà che tu conosci bene dato che hai anche partecipato attivamente a “Volume1”, del Collettivo Angelo Mai appunto, a maggio è stato nuovamente chiuso e in parallelo i finanziamenti per festival e progetti culturali in questo paese sono in continua diminuzione.
Cosa pensi che occorra per avere un cambio di rotta e dare alla musica e all’Arte in generale lo spazio che merita?
Per cambiare le carte in tavola dovrebbe arrivare un’invasione aliena!Onestamente, tutti gli anni che ho vissuto a fianco delle esperienze dell’Angelo Mai, mi hanno mostrato che cambiavano giunte, colori e prospettive ma i problemi erano sempre gli stessi. Adesso mi pare che siamo in uno dei momenti più bui degli ultimi anni. Se sapessi qual è la soluzione cercherei di portarla in giro e condividerla ma onestamente mi sento, come penso molti, sorpreso quotidianamente di quello che accade in questo paese e non so… non ho soluzioni! Quando nacque la realtà dell’Angelo Mai fu bellissimo vedere come si unirono artisti di vario genere, occupando posti e creando davvero un bellissimo movimento. Però effettivamente non c’è mai stato un supporto da parte delle istituzioni. C’è stata una continua lotta, un continuo chiudere uno spazio che poi veniva riaperto. Non si capisce come uscirne. Il mio amico “Pino Marino”, che è stato uno dei principali fautori all’epoca del collettivo Angelo Mai, disse una cosa estremamente saggia quando andammo a suonare dentro l’Auditorium: “l’auditorium è una vetrina di qualcosa che già si é formato e che arriva qui in un momento in cui è già diventato grande, ma a noi servono spazi dove le cose si possano formare e che diano in maniera più semplice possibile dei palcoscenici al teatro, alla musica, e a tutte le attività artistico – culturali che abbiano il tempo di crescere… per poi arrivare qui all’auditorium”. Questo faceva l’Angelo mai. Questa era l’idea centrale di quel tipo di esperienza che comunque continua ad esserci, vessata sì… ma non muore.
A cosa ti stai dedicando in questo momento?
Sono pieno di progetti: dopo anni sto cercando di finalizzare il mio nuovo disco e ripartirò a settembre con un tour insieme a Rodrigo D’Erasmo, con il quale feci il contributo a Nick Drake più di dieci anni fa. Abbiamo deciso, dato che quest’anno ricorre il 70 esimo compleanno di questo grande cantautore, di risuonare insieme un po’ di quelle splendide canzoni. Poi, sempre a settembre, ripartirà “Propaganda” e anche lì ci stiamo preparando con nuovi stacchi e qualche idea nuova.
L’Arte provoca emozioni capaci di agire sulla nostra mente. L’invisibile cambia dimensione e diventa qualcosa di reale e vivo dentro ogni spettatore, che compie un viaggio personale o collettivo, per ritrovarsi dentro sé stesso cambiato, nuovo.
Questa sesta edizione del festival si chiude con una performance “solitaria”, che però abbraccia tutti coloro che la circondano e la supportano, vere colonne del festival stesso, capace solo insieme a voi di essere faro in un momento di buio.